L’Aborto Terapeutico è la decisione da parte della coppia di interrompere la gravidanza a causa di importanti malformazioni del feto. A seguito di un esame specifico, come ad esempio, la villocentesi, l’amniocentesi o l’ecografia morfologica, la coppia riceve la notizia di una diagnosi infausta.
Proprio in questo momento, si forma per la mamma e il papà, il primo momento traumatico. Il momento della diagnosi. In seguito a ciò, molte persone reagiscono con un meccanismo antico che permette la sopravvivenza emotiva dell’individuo, ovvero la “dissociazione” (cioè quel meccanismo psicologico che permette di distaccarsi e di compiere una serie di azioni senza provare le emozioni corrispondenti). A breve termine tale meccanismo dissociativo ha un beneficio importante di protezione dalle emozioni eccessivamente intense e con forte valenza negativa, ma, a lungo termine, se tale meccanismo non rientra passato il momento di “emergenza”, ha il costo importante di distaccare gradualmente la persona dagli altri, dalle relazioni importanti, dalla quotidianità. Molto spesso le persone riferiscono di vivere la vita come se fosse di qualcun altro: “mi alzo, mi vesto, esco, lavoro. Ma è come se lo facesse un’altra persona. Sono distaccata. Non sento nulla. La testa è staccata dal corpo”.
A questo primo scioccante momento traumatico, generalmente ne seguono altri. Il ritorno in ospedale per la procedura, il dolore fisico, la decisione di vedere o meno il proprio figlio, i giorni successivi di ospedalizzazione. Inutile dire che in tutte queste fasi, il comportamento, la vicinanza, ogni singola parola del personale ospedaliero hanno una potenza incredibile. In un momento dove si è vulnerabili ed esposti violentemente alle proprie paure più ataviche (come quella della morte), le parole degli altri possono avere la valenza di frecce potenti che ci colpiscono e feriscono in profondità lasciando cicatrici imponenti, o raggi di luce e calore che possono scaldare un cuore raggelato, freddo, dolorante.
L’elaborazione della perdita del proprio figlio, del lutto più destabilizzante che una persona si trovi a dover affrontare, diverso da qualsiasi altra perdita superata in precedenza, in questi termini, dovrà anche necessariamente passare attraverso l’elaborazione di ogni singolo ricordo degli eventi traumatici connessi (la diagnosi iniziale, le parole degli operatori, il momento del ricovero e delle procedure che permettono l’interruzione della gravidanza, il ritorno a casa). In mancanza di ciò, infatti, la normale elaborazione del lutto potrebbe bloccarsi, rallentare, divenire stagnante e non permettere alla persona di riguadagnare quel sorriso, prima appena accennato, poi espresso con decisione e forza, con l’intento di dire: “..sono sopravvissuto anche a questo. Ce l’ho fatta anche questa volta”.
Ad oggi esiste uno strumento molto efficace e rapido nell’elaborazione dei ricordi traumatici: l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing). All’interno di un processo terapeutico strutturato e di una relazione terapeutica avviata, da la possibilità alla persona di ri-accedere al ricordo del trauma e di elaborarne gli aspetti bloccati, permettendo al processo di elaborazione del lutto di riprendere il proprio cammino verso la risoluzione.
Numerosi studi dimostrano che il dolore relativo alla perdita a seguito di un atto decisionale volontario (Aborto Terapeutico), non è diverso da quello relativo alla perdita perinatale dovuta ad un evento incontrollato, avvenuto senza il volere della persona. È mandatario allora, che come tale venga considerato, trattato e riconosciuto. Dagli operatori sanitari in primis, dalla coppia stessa e dal mondo circostante. Che a volte sembra continuare a girare incurante dell’accaduto.